“La reputazione online è quello che gli altri pensano di te. E spesso questa idea non è in linea con quello che tu vorresti”. Così definice la reputazione Steve Rubel, SVP Director of Insights di Edelman Digital, la più grande agenzia di relazioni pubbliche al mondo.
Le aziende, negli ultimi anni, si sono trovate spesso ad avere a che fare con questo concetto e molti esperti considerano la reputazione un valore primario del proprio brand. Diversamente da altri valori che possono essere convertiti in denaro, la reputazione è qualcosa di non monetizzabile e pertanto necessita di una gestione ad hoc.
Le persone hanno sempre scambiato tra loro informazioni riguardo alle aziende e ai loro prodotti. Quella che sino a ieri era una ristretta cerchia di amici e parenti, la comparsa di Internet ha trasformato in un pubblico potenzialmente immenso introducendo due novità: la persistenza e la ricercabilità delle informazioni.
Per questa ragione i giudizi espressi dalle persone diventano segni difficili da ignorare da parte delle aziende coinvolte. I motori di ricerca permettono di trovare facilmente questi giudizi associati alle aziende cui si riferiscono.
Purtroppo la scarsa conoscenza delle regole che governano le conversazioni in rete ha messo nei guai numerose aziende, alcune delle quali hanno scomodato i propri uffici legali per tentare di risolvere i loro problemi di immagine. I risultati sono quasi sempre stati deludenti e talvolta dannosi per coloro che hanno agito in modo goffo, prepotente o arrogante.
“Un tempo esisteva una linea sulla sabbia, da una parte l’azienda e dall’altra i clienti. Io ho cancellato questa linea e mi piace danzare insieme a loro. Perché se viene appiccato un fuoco attraverso i media sociali, questo può essere spento solo sui media sociali”, dice Ramon De Leon, operative partner di Domino’s Pizza.
Ramon è l’esempio vivente di come un’azienda dovrebbe reagire ad uno scandalo online: nel 2009 due dipendenti pubblicarono un video su YouTube nel quale giocavano in modo inappropriato con il cibo nelle cucine di Domino’s Pizza in Nord Carolina. Il video si diffuse rapidamente e solo dopo qualche settimana fu rimosso dal servizio di video sharing.
I due dipendenti furono licenziati ed incriminati per contaminazione del cibo (reato federale negli Stati Uniti) ma questo non evitò l’alzarsi di un polverone su Domino’s Pizza.
Fortunatamente Ramon aveva una forte presenza online già prima che scoppiasse l’incendio e reagì con grande abilità. Ogni volta che il video veniva ripreso da qualche blog, lui spiegava nei commenti che il fatto era limitato ad un solo punto vendita, che i responsabili erano stati perseguiti e rendeva disponile il resoconto delle ispezioni sanitarie ricevute da Domino’s Pizza nei mesi precedenti.
Inoltre, Patrick Doyle, il presidente di Domino’s Pizza ha pubblicato un video di scuse, nel quale ribadiva i valori dell’azienda, ringraziava la comunità online per aver segnalato il caso e riportava l’accaduto ad una dimensione naturale.
Il risultato è stato eccellente e Domino’s Pizza ha registrato un aumento di fiducia da parte dei propri clienti, i quali hanno sostenuto l’azienda e hanno agito come evangelisti del brand. Anzi, secondo quanto sostiene lo stesso Ramon De Leon, nelle settimane successive allo scandalo l’azienda registrò addirittura un incremento del fatturato.
Un lieto fine esclusivamente da attribuire alla capacità di ascolto e di partecipazione alle conversazioni online da parte di un grande brand.
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Luca Sartoni
info@lucasartoni.com http://www.lucasartoni.com
PR & Media Strategist di 123people per l’Italia.
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Questo articolo è stato pubblicato su Nova, l’inserto del giovedì de “Il Sole 24 Ore“, pubblicato giovedì 4 marzo 2010.
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