Per un certo periodo non ero bravo a fare business. Era il periodo in cui spendevo soldi in abiti costosi, in biglietti da visita stravaganti, e perdevo tempo ad assecondare i miei clienti.
Sono stato un libero professionista per la maggior parte della mia carriera ed ho iniziato presto. Avevo solo 21 anni quando ho lasciato l’università e ho aperto la partita IVA. A quel tempo pensavo che il dovere di un professionista fosse trovare il maggior numero di clienti possibile e renderli felici.
Era praticamente impossibile perché la maggior parte dei miei clienti non era solo difficile da compiacere, ma la maggior parte delle volte non avevano nemmeno idea di cosa volessero loro stessi. Volevano risultati inarrivabili, in tempi irragionevoli, a prezzi insostenibili. Io ero giovane, senza esperienza e accettavo tutto quello che arrivava.
Mi ricordo bene quanto mi facesse arrabbiare non ricevere risposte alle mie offerte.
Successivamente ho imparato che il rapporto con i clienti era molto più simile ad una storia d’amore: entrambe le parti dovevano avere rispetto reciproco, essere attratte, e sentirsi bene insieme. Quando era una relazione non corrisposta, creava solo frustrazione, rendeva le persone infelici, e di solito durava poco.
Ad un certo punto ho accettato l’idea che un professionista non fosse definito dai clienti che aveva, ma dai clienti che aveva deciso di non avere. Allo stesso modo in cui la cultura di un ambiente lavorativo non è definita da come le persone la descrivono ma solo da quello che viene tollerato da chi la vive, un professionista è definito dal tipo di clienti che non cerca, che non vuole, e che non ha.
Per questo mi piace ripetere che i miei migliori clienti, sono quelli che non ho mai avuto.
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